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opere, e più che nelle altre nella Teoria civile e penale del Divorzio, figlio della seconda metà del secolo XVIII « cui (dice causticamente Rovani) la provvidenza, per così esprimerci, impose l'assunto di rivedere i conti a tutti i secoli passati, di rifar tutta la scienza, di rinnovare la faccia del mondo » epperò duole (o dovrebbe) che un critico onoratissimo l'abbia insultato « prete faccendiere, che in quadri sinottici inquadrellò i concetti della mente e fece lavori di un caporal foriere. » A costui risponda l'illustre Lampertico che studiò con eletta erudizione nei manoscritti di Melchiorre deposti in Brera da Gherardini uno dei pritanei della Statistica nazionale.

Nè si taccia la generosa lode che poco prima egli aveva tributata ad Egidio De Magri, calpestato immaturo da emuli invidiosi. Questo dotto modestissimo, che si rammenta con affetto perchè da lui succhiammo i primi ammaestramenti nell'istoria, visse timido e ritirato lavorando a decifrare il vecchio Corio, nè gli fu mai concessa fama dalle fazioni passionate e dai trombettieri venali. Ebbe vigoria di poeta ma non la profuse, e forse altrove avrebber levato grido i suoi brevi ma bravi studj sul primo Berengario, sulla Fronda, sul Botta, sul Borri e sulla Colonna Infame di Manzoni. Unica cosa che qualche volta il pubblico degni ricordare di lui è la continuazione della Storia di Milano del Verri, più ampia di vedute e pur così com'è mutilata dalle cesoie tedesche sotto certi rispetti superiore a quella del Custodi. « Non vogliamo scialacquo d'apoteosi (conchiudeva il Rovani) ma retribuzione scrupolosa del merito vero » e se De Magri l'avesse giudi chino gli onesti e gl'imparziali.

Fu a Sesto, paesello a mezza via tra Monza e Milano, che tentò rinnegar Poe. Invano. La bevanda prediletta di Gianpaolo Richter, che già da tempo l'accompagnava nello studio e negli spassi, comparve ancora sullo scrittoio ad eccitargli tumultuosa la fantasia creatrice. Non gustò mai la cervogia squallida fulminata dal Redi perchè non era longanime, ma s'abbeverò smoderato col nemico. più crudele del pensiero, e qualche pagina del Cesare gli piovve infocata dall'assenzio. Questo spreco della vita gli tornò fatale, e si spezzò! Povero Rovani!

Eppure non mutò carattere. Troppo artista per essere politico davvero, sempre bisbetico, si conservò il Rovani del Manfredo e dei Cento Anni. Era un fiume d'epigrammi, di frizzi, di paradossi, di bizzarrie; sdegnoso delle opposizioni biliose, classico nel suo romanticismo, originale nel gesto e nel dialogo, incisivo nei giudiziî

e nella critica, flagellatore implacato dei vendipatria, dei vendilettere e dei vendifaccia, buono, erudito, galantuomo, scherzava si amenamente da far ridere anche colui che frecciava. Sul suo volto simpatico la malizia e la bontà (come su quello di Giusti) facevan la pace, ed accanto al sarcasmo stava sempre il garbo dell'uom leale e gentile. Venerava il genio d'ogni religione, d'ogni paese, d'ogni scuola; venerava specialmente il Foscolo, e gli fu amara l'offesa che un recente spigolistro d'archivii lanciò al grande e italiano e rivoluzionario nome di Ugo. Il Rovani, come Molière, fece ridere abbreviando le sue gioie e la sua vita, rise esso stesso di sè, ma se ben guardavi il suo riso era un pianto! E salutò Italia colla Giovinezza di Giulio Cesare. Audace parto del suo gagliardo ingegno, che fu come l'estremo raggio del passato a fronte della torbida luce del futuro. Napoleone aveva narrata la vita pubblica del prodigioso romano, e Rovani volle sceneggiarne la privata. Originalità, perspicuità, celerità, son le doti di quest'opera acclamata, opera ch'imprigiona una vasta erudizione entro le forme squisite della poesia. Il mondo romano è vivo e parlante nello stile dell'autore, tu respiri l'atmosfera di Roma vetusta e senti come sentivano quei titani e pensi come essi e con essi, e t'agiti, e ti muovi, e sorridi, e maledici romanamente. Sei trasportato dall'onda convulsa del dramma a venti secoli addietro, ed in Cesare e Catilina, e in Cetego e in Sallustio, scopri passioni meravigliose che ammirasti negli eroi d'altre età, e in Aurelia, e in Gordiene, e in Servilia e in Terenzia, indovini affetti e vizii e virtù che non ti son strane, celebri con loro la festa alla dea Bona, ti bagni come antico pagano al ponte Fabricio ; Sceva Clodio e Curio ragionano e imprecano come te se fossi nei lor panni; Cicerone, Pompeo e Antonio, governano come i grandi governarono. Quirito col popolo, senatore tra i patrizi, legionario a Perugia, congiurato accosto a Sergio, poeta e musico nel triclinio di Sempronia, odiatore con chi odiò, amante tra gli amanti, tu sei pervaso e conquiso da codest'ambiente vastamente latino, dardeggiato da luce ch'è creazione, ed attraversato con maestà classica dall'atletica figura del primo autocrata. Lo segui ammaliato, dal preludio alle tempeste della virilità onnipotente, e benchè già il secondo tomo additi non lontano il tramonto se tu avessi aperte innanzi altre scene che l'accompagnassero dal Consolato al pu gnale di Bruto le correresti col tumulto dell'innamorato.

Ma il lombardo a questo libro che lancia folgori e bombisce come il tuono preferisce volentieri l'ambrosiana ironia dei Cento

Anni, romanzo tutto suo, romanzo poderoso, più sodo e certo più duraturo, che ricostrusse un secolo d'annali, - libro maraviglioso, come disse con acume il signor Perelli, in cui storia, filosofia e drammatica conspirano a creare un nuovo cielo di poesia, ch'è un turbinio d'umorismo, ch' ha scene di un lusso da digradarne Rubens, che non s'esaurisce mai, e finisce sereno come incomin⚫ ciò. La fama di Giuseppe Rovani vivrà la vita dei Cento Anni, e sarà questo il titolo per cui avrà posto nell'eletto cerchio dei romanzieri d'Italia. Coi Centi Anni la gratitudine dei posteri rammenterà il Lamberto e la Giovinezza. e starà bene, ma Rovani è scolpito colà. Nè il Tiberio, nè il Carme all'Italia, avrebber detronizzato il poema borghese!

Ora il Rovani è sotterra, e gusta la pace che bramò. Sian perdonati gli errori, e sia scritto nell'albo dei caduti sulla breccia, che il 26 gennaio 1874 spirava la sua anima d'artista Giuseppe Rovani.

GAETANO SANGIORGIO.

ILLUSTRI POPOLANI VIVENTI IN ITALIA

I..

UN GONDOLIERE DANTOFILO

Antonio Maschio del fu Pietro e Giustina Rossetto nacque li 12 ottobre 1825 nell'isola di Murano presso Venezia, parrocchia dei SS. Maria e Donato. La casa paterna era situata di fronte al magnifico tempio eretto ai due santi, e ciò ispiravalo all'arte !

Il nostro giovanetto fino a dieci anni fu educato da un prete e da una vecchia maestra, i quali gl' insegnarono un po' di tutto senza farlo riuscire a qualche cosa. Compì l'educazione a Venezia nella scuola di S. Giovanni Laterano. Per una lieve mancanza, il maestro un po'rigoroso, lo fece stare ginocchioni con pesanti tavole sulle braccia, ed egli, non reggendogli il peso, glie le lasciò cadere sui piedi, e il povero maestro stramazzò a terra fra le grida della scolaresca. Dolente il fanciullo dell'accaduto, non fece più ritorno alla scuola, e si dedicò all'arte esercitata da suo padre quella del barcajuolo. Ometteremo la storia della sua vita fino al 1848, e sarà a quest'epoca che noi riparleremo del nostro Maschio. Correva appunto quell'anno, quando avido egli pure di avere notizie della patria, leggeva quanti scritti e libri gli venivano fra mano. Accadde un giorno che si mettese a leggere un pezzo di stracciato della Divina Commedia: non intendendone il senso, diede indefessamente allo studio di quei versi finchè gli rimasero scolpiti nella mente.

si

Dal 1848 al 1855, nel corso cioè di 7 anni, non fece che studiare la Divina Commedia. Nel 1856, chiamato in una conversazione, improvvisò un bellissimo sonetto che si volle dare alla luce.

Qualche tempo prima del 1865 i giornali annunciavano per quell'anno la gran festa del centenario di Dante da farsi in Firenze; ed egli desideroso di recarvisi si mise a studiare in de fessamente l'Alighieri, e volendo formarsi un'idea compiuta di ciò che intese dire l'immortale poeta, raccolse innumerevoli annotazioni, memorie, citazioni, ecc.

Volendo recarsi in Firenze con qualche commendatizia di persone autorevoli di Venezia, espose il suo desiderio ai migliori cittadini che in sulle prime fecero le meraviglie, ma che ottenuti saggi della capacità del Maschio, non solo approvarono la sua gita, ma con generosi sussidii pecuniarii lo aiutarono all'impresa. L'occhiuta Polizia non lo volle fornire d'un passaporto, e avendo impreso la strada di Padova e Rovigo, dovette ritornarsene per tentare quella di Chioggia. Al 12 marzo 1865 egli attraversava Brondolo e Contarina, e munito di una carta di legittimazione percorse la riviera del Pò ingannando le molte guardie che gli impedivano il passaggio, e alle quali dava a credere esser egli un oste di Chioggia che andava in cerca di vino. Ma la sera si avvicinava, e nessun mezzo si presentava al Maschio per poter traghettare il rapido fiume, senza prendere una eroica deliberazione.

Amico dell'acqua e non temendola, decise di abbandonarsi ai suoi gorghi, fidando nella propria forza muscolare. Carico di due grossi fardelli contenenti le proprie vesti, nonchè molte carte e varii libri danteschi, giunto che fu alla metà del corso gli parve venir meno, perchè le sue forze non erano sufficienti al peso che sosteneva. Spossato dalla fatica, dopo aversi lasciato trasportare dalla corrente, abbandonò il fardello, e con un volumetto di Dante in mano, pensando alla salvezza della propria vita, cercò di arrivare alla sponda.

Privo di vesti e di danaro, nessuno conoscendo, è ben più facile immaginare che descrivere la penosa sua condizione. Per buona sorte fu accolto e ricoverato per quella notte da alcuni militari, i quali lo presentarono la mattina seguente ai loro superiori, che a forza lo consegnarono al sindaco di quel luogo, La Mesola. Quivi riuscirono vane le preghiere, le promesse, i giuramenti del povero Maschio perchè gli fosse permesso di continuare il viaggio. Quel sindaco comandò che egli fosse affidato agli austriaci (padroni allora della Venezia): questi lo respinsero per mancanza di reca.

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