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non è più ideale, ma realtà. Codesto ci sembra il più bel trionfo dell'autore. Non è Auerbach che detta, è Waldfried che scrive, che con sorprendente chiarezza in mezzo alle lotte, alle agitazioni politiche, sociali, guerresche getta sulla carta le sue idee, i suoi apprezzamenti, i suoi sentimenti evidentemente per sè solo senza curarsi di chi mai un dì potrebbe ficcarci addentro l'occhio scrutatore. E' una necessità per Waldfried di scrivere la storia psicologica della sua vita e scrivendola da maestro, egli diventa pittore ammirabile delle lotte, delle speranze della sua nazione. Così semplice, così verace riesce la finzione, così naturale ogni mossa, ogni passo delle persone che vi agiscono, così lontana ogni esagerazione, ogni inverosimiglianza che il romanzo sparisce, che la vita vostra proprio batte in ogni scena, che il nostro sentimento si confonde con quelli di Waldfried, e si confonde in modo che alla fine della lettura, senza volere, cercate colla mano sul fronte il ricordo non d'un sogno, ma della realtà d'una vita convissuta, di tutta la serie di agitazioni che durante gl'ultimi vent'anni fecero correre più presto il sangue nelle nostre vene. Dalla modesta stanza d'una famiglia modesta, Waldfried allarga l'angusto orizzonte di quelle poche vite nell'immenso cielo limpido e brillante che abbraccia le lotte di un popolo intero e sparge luce robusta sulle mille e mille sue angosce e gioie.

Con mezzi modesti, con una parsimonia da maestro nell' intreccio l'autore ha raggiunto tale, novità nella sua poesia, perchè poesia è il suo romanzo, e poesia tale nel vero che quantunque la biografia nel romanzo non sia stata tentata la prima volta e dal solo Auerbach, il Waldfried ci sembra un modello cesellato da un artista che dal primo tratto della matita fino all'ultimo colpo di scalpello nulla tollera di soverchio, tutto immagina, traccia ed eseguisce colla stessa sicurezza.

Ed a voi in Italia particolarmente deve interessare questa genesi poetica del nostro risorgimento; contemporanei furono i nostri dolori, tristi i tempi che ci condussero ambedue, Italia e Germania, attraverso il buio; dove meglio si specchia la vita della nazione, la lotta per la sua libertà, per la sua indipindenza, che nella vita della famiglia? In Italia questa vita si svolge forse più appassionata e con maggiori sagrifici; quanti non sono presso voi i nomi di quelli che conobbero troppo da vicino e la corda ed il piombo? Nella loro famiglia si serbava la vita del popolo nei tempi di schiavitù. Nemmeno in Germania mancarono prigioni e palle, ma la vita nostra era differente, si lottò quanto da voi, ma in altro modo. Ed ecco ciò che vi dirà il nostro autore; egli vi palesa come nella famiglia visse e vive, lottò e lotta la nazione. Augurandovi un Auerbach italiano, ve lo auguriamo pure presto onde possiate toccar con mano il quadro di ciò che voi stessi aiutaste a fare; sarà pure un romanzo storico la storia poetica d'una vostra famiglia attraverso i decenni della vostra schiavitù, del vostro rinascimento. Nè potrà l'autore scambiarvi le carte in mano; fedeli al vero, tutte le nobili aspirazioni che spesso nell'intera vita d'una nazione è concesso di godere ad una sola generazione, vi riappariranno nel suo racconto, riscalderanno un'altra volta la mente ed il cuore e con più soddisfazione specialmente di chi ha la coscienza d'aver servito onestamente e il suo paese e la libertà. Così fece l'Auerbach nel Waldfried.

Quanto calore, quant' amor patrio, quanto sentimento di libertà non v'ha nel libro di Auerbach. L'austera figura del legislatore nel vecchio Waldfried, legislatore nella famiglia v’inspira l'ordine senza reazione, quell'ordine del progresso, il quale nella nazione come nella famiglia conduce innanzi e significa coscienza, affetto ed istituzione. Intorno a lui s'aggruppano i figli ed i congiunti; essi vi rappresentano le varie fi

gure sociali; l'amore materno personificato nella madre loro, prototipo della madre di famiglia alemanna getta la benefica ombra della pace sopra tutte le agitazioni. Lodovico il figlio maggiore è ingegnere, lavoratore indefesso per il suo interesse non vi pospone quello pubblico. La miseria politica della Germania lo fa abbandonare la patria; non appena questa rinasce, lo vediamo nuovamente a casa. Il secondogenito di nome Riccardo è professore d'Università, il terzo fratello è il vero tedesco in ogni sua esagerazione; egli sagrificherebbe il mondo per non rimuoversi dai suoi principii. Gli sembrerebbe una viltà. Non gli riesce di comprendere la necessità della guerra del 1866; in lui il sentimento, la teoria sono più potenti dei doveri di cittadino. Da ciò le sue stranezze, da ciò la sua rovina. Delle due figlie di Waldfried, Berta sposa un ufficiale, Giovanna un ministro protestante ortodosso. L'altro personaggio del romanzo è Giuseppe parente vicinissimo della famiglia; egli esercita la mercatura. Annetta, ebrea di nascita e vedova d'un ufficiale caduto a Koeniggratz, dopo cinque anni si rimarita col professore Riccardo fratello di Berta sua intima amica.

Ecco gli attori chiamati a dar vita al diario di Waldfried, alla storia dei nostri tempi ch'esso stupendamente ci ricorda.

Non entreremo in maggiori dettagli; sarebbe fors' anche uno scrivervi delle emozioni che noi stessi provammo alla lettura di questo nuovo lavoro d'Auerbach. A quanto sappiamo, deve essre imminente la pubblicazione d'una versione italiana per opera del tradutore medesimo che così egregiamente rese italiano il romanzo: In Alto.

Leggetelo; quadro più fedele della miseria politica in Germania prima del 1866 non potete trovare; la guerra fratricida fu sanguinosa, fu dolorosa, ed il dolore spira sincero dalle pagine di Waldfried. L'aria soffocante, cupa che prima di quella grande catastrofe opprimeva l'atmosfera politica vi rammenta le diffidenze, le meschine gelosie, le vessazioni fra un ceto sociale e l'altro, la profonda scissura fra la borghesia e l'esercito, almeno per quanto concerne gii ufficiali. La cancrena delle piccole nemicizie s'era generalizzata nella società. La guerra era diventata necessaria per spazzar via d'un solo tratto tutte quelle affezioni interiori che minacciavano la patria. La campagna di Boemia fu il grande rimedio. Waldfried il tedesco del Sud soffre le più amare agitazioni; la parte della Germania dov'egli nacque e vive è trascinata nella lotta; l'antagonismo fra il Sud ed il Nord ha ancora i suoi diritti, perchè non ancora vi è chiarezza nello scopo, si dubita, si teme che non si tratti già di rigenerare la Germania ma solo d'ingrandire la Prussia. Ma Waldfried ha in sè il vaticinio del patriotta, un nuovo orizzonte s'apre alle sue speranze, dalla lotta egli vede sorgere la nuova unione, poi la guerra di Francia, la caduta di Napoleone. Dopo aver assistito all'entrata trionfale dell'esercito vittorioso a Berlino, anche Waldfried ha compiuto la sua missione, e reduce nella Selva Nera egli muore tranquillo e contento d'aver visto rinascere la Germania.

Il romanzo d'Auerbach è un monumento all'amor di patria, monumento tanto più prezioso per noi perchè eretto da uno di quegli alemanni del Sud ai quali a torto i nemici dell'attuale nostra grandezza si studiano d'affibbiare e avversione e diffidenza verso l'unità germa

nica.

JUSTUS.

Lettere Ungheresi.

Carissimo amico!

Pressburgo, 2 aprile 1374.

Nell'ottavo fascicolo della nuova Rivista di Buda-Pest il dotto direttore del Museo nazionale ungherese Francesco di Pulszky c' informa sullo sviluppo delle arti in Ungheria. Questo soggetto interessante guadagna d'importanza, descritto da un uomo tanto versato nella storia delle arti, da un conoscitore tanto profondo dell' archeologia artistica. Sapendo che lei, carissimo amico! prende interesse a conoscere le relazioni dell' Ungheria coll' Italia nel vasto campo della coltura, della letteratura e delle arti, m'affretto di comunicarle que' luoghi dell'articolo del Pulszky, che risguardano siffat te relazioni.

Sotto il regno delle famiglia d'Arpad, Bisanzio ha molto influito sui diversi generi delle arti. Questo non ci deve sorprendere essendo Costantinopoli stata in que'tempi la più grande, la più ricca e la più colta città d'Europa. Lo stile greco regnava da per tutto, non solo in Ungheria ma nella stessa Italia; solamente la tradizione classica delle arti non essendo mai interamente estinta in Italia, lo stile greco diffuso in Europa doveva lasciarsi influire da essa. Per lungo tempo assai, le monete d'oro non furono coniate altrove, che a Bisanzio (moneta sacra) finchè la repubblica di Firenze ricchissima e commerciante ha incominciato a coniare anche essa adoperando il suo proprio conio rappresentante il giglio, emblema della città, e la figura di S. Giovanni suo protettore. Questa moneta d'oro ha ricevuto il nome di fiorino (florenus) dai fiori del suo conio. Gli Ungheresi pronunciano forint invece di florenus. Il re ungherese Carlo Roberto d'Angiò fu il primo, che abbia fatto coniare monete d'oro in Ungheria adoperando un conio molto rassomigliante a quello di Firenze con gigli e la figura di S. Giovanni, la sola differenza consisteva nella inscrizione. Più tardi hanno modificato il conio mettendo S. Ladislao invece di S. Giovanni (1). Secondo Pulszky queste monete sarebbero i primi testimonii dell' influenza italiana sovra l'Ungheria. Ma io sono persuaso, che già sotto i re della casa d'Arpad l' Ungheria ha avuto molteplici relazioni coll'Italia. Maria la sorella del re Ladislao (Kon Lászlo), una donna d' animo virile (come la chiama Minieri Riccio) avendo sposato il re Carlo II di Napoli avea fatto studiare molti giovani ungheresi a Napoli. Questi ritornati nella loro patria hanno probabilmente promosso la coltura dell' Ungheria (2). Conosciamo le relazioni del re S. Stefano con Venezia e non credo, che questo re tanto propenso ad appropriarsi la coltura straniera avrebbe sdegnato di seguir pure gli splendidi esempi eloquenti della civiltà italiana.

Il Pulszky dice, che il re ungherese Lodovico, figlio del re Carlo Roberto ha impiegato pochi artisti italiani e non si mostrò fedele alle tradizioni artistiche della sua famiglia. Il comes supremus di Temes sotto il regno del re Sigismondo, suocero di Lodolfo, Pipo (Ozorai Pipo, gli italiani l'hanno chiamato Filippus Hispanus, Pipo Spano non avendo capito la significazione della parola Ispàn, che vuol dire « comes su

(1) L'Islâm ha fatto coniare le sue prime monete per mezzo del conio bisantino. Il celebre Batuchan ha fatto coniare monete con inscrizioni in lettere arabe (neschi e cufi) (2) V. un interessante articolo del dotto Ovary intitolato nápolyi magyar törtenelmi, müemlekek » publicato nell'ottavo fascicolo della nuova R. d. B. P.

premus » non ha mai dimenticato la sua bella patria ed ha invitato il celebre pittore Masolino, quando l'ultima volta ha riveduto come vecchio il suo paese natale. Pipo ha preso origine dal ramo Scolari della nobile famiglia Buondelmonte. Ma disgraziatamente Pipo, poco dopo il suo ritorno in Ungheria morì e Masolino ritornò a Firenze.

I manoscritti del re Mattia, grande amico degli italiani, furono ornati da varii miniatori italiani, p. e. Attavante Gherardo, ma i manoscritti ornati dal Gherardo non sono mai venuti in Ungheria, perchè il gran re morì prima che fossero compiuti (3). Lorenzo Magnifico li ha comprati dall'artista e li ha deposti nella sua biblioteca. Lorenzo era grande amico del re Mattia e gli aveva mandato in segno della sua amicizia due sculture in bronzo del Verocchio, maestro di Leonardo da Vinci, l'una rappresenta il ritratto d'Alessandro il grande, l'altra quello di Dario (4). Mattia aveva pure invitato Filippino il figlio di Lippi, celebre pittore anch'esso a venire in Ungheria Filippino non voleva lasciare Firenze, ma eseguì due bellissimi quadri pel re, l' uno rappresentante il ritratto del re, secondo le medaglie, che furono mandati in Ungheria. Un altro artista, Benedetto di Majano, celebre architetto, scultore e intarsiatore fiorentino aveva invece accettato l'invito del Re a recarsi in Ungheria. Pellegrino di Fermo e Ammanati, ambidue tarsiatori, hanno vissuto qualche tempo in Ungheria e hanno fatto fortuna. Il re Mattia ha fatto costruire molti palazzi, pozzi ec., da un altro architetto fiorentino: Chimenti Camicia. Dopo la morte di quel grande re di gloriosa memoria, Visino, il migliore scolare di Mariotto Albertinelli venne in Ungheria, dove eseguì molti quadri. Disgraziatamente la sua vita fu breve. Non potendo sopportare (come dice Vasari) nè l'aria fredda nè le stufe troppo calde, cadde malato e ne morì.

Alla corte del re Lodovico II ha vissuto qualche tempo Giulio Clovio nato in Croazia che fra le altre bellissime cose ha dipinto per il re il giudizio di Paride, e per la regina, Lucrezia in atto d'ammazzarsi. I due quadri furono molto lodati. Giulio Clovio fu forzato di ritornare in Italia dopo la sventurata battaglia di Mohács.

Il re Giovanni d'Ungheria avea creato il Pordenone, il rivale di Tiziano, cavaliere (nobile ungherese).

Il dotto Pulszky ha trovato quasi tutte queste interessanti notizie nei XIV volumi di Vasari e nella grande opera di Crowe e Cavalcaselle Vediamo così anche sul campo delle arti, nel giardino delle Muse, frequenti ed intime relazioni fra l'Ungheria e l'Italia.

In fine della mia lettera di Presburgo, 10 febbraio 1874, pubblicata nelle pagine 165 e 166 del fascicolo di marzo della Rivista Europea si deve leggere « bacca d'oro » invece di « bocca d'oro. »

Conte GEZA Kuun.

Notizie letterarie straniere.

Francia. Da una lettera gentilissima, con la quale il signor Leone Garnier ringrazia il nostro giovane e già distinto sinologo dott. Carlo Puini, per l'articolo competente scritto sull'opera monumentale di suo

(3) Anche la Marciana contiene qualche bellissimo manoscritto proveniente dalla biblioteca del Re Mattia (Corvina).

(4) Il museo nazionale possiede un bellissimo soffitto (flacon) col ritratto di Gioanni Hunyadi scolpito in avorio. La repubblica di Venezia hà regalato quel soffitto al celebre governatore.

(5) Tizlano Vecellio fu nominato eques dai re Carlo V.

fratello il compianto Francis, togliamo un passo ove si corregge una nota che il Puini toglieva dall'Athenaeum:

<< Vous avez admirablement compris l'importance scientifique de l'œuvre que vous avez si habilment analysée, en mettant en lumière les principaux épisodes de ce grand voyage d'exploration. La note qui termine votre article renferme une erreur que la presse anglaise avait peut être intérêt à propager. La mission de mon frère au Tong King était une mission diplomatique, ayant pour objet un traité de commerce et l'ouverture à la navigation de toutes les nations, du fleuve Song Coï. Ce traité est aujourd'hui signé. La trahison du vice roi Nguyen-tri-foung transforma inopinément le rôle pacifique de Francis Garnier en agissements militaires: il attaqua pour se défendre. La conquête du Tong King accomplie avec une poignée d'hommes, pouvait étre le résultat de cette énergique détermination. Si Garnier n'était pas mort dans une embuscade, au moment où tout était fini, et où les cinq grandes villes, tombées en not e pouvoir avec leurs citadelles, nous rendaient maîtres absolus du pays, et nous permettaient d'imposer à Hué les plus dures conditions, le Tong King serait aujourd'hui une Colonie française. Il est simplement sous notre protectorat; mais la grande idée pour laquelle Francis Garnier a donné sa vie, est réalisée: la Song Coi est ouvert à toutes les nations, et la route commerciale la plus directe vers la Chine intérieure, est placée sous la surveillance de la France et comme dans ses mains. >>

Italiani all'estero.

Riceviamo, nel giorno stesso, la Revue Critique di Parigi del dì 11 aprile e la Neue Freie Presse di Vienna del 10 aprile, contenenti entrambe un'articoletto sopra la prima serie de' nostri Ricordi Biografici. I nostri lettori non vedranno, senza alcuna curiosità, come il critico francese ed il critico tedesco, entrambi benevoli, ci muovano nel tempo stesso un appunto contraditorio, per rispetto alla scelta degli scrittori. Ecco in qual modo s'esprime la Revue Critique: « M. De Gubernatis n'est pas seulement un orientaliste estimé, c'est encore un homme politique actif et remuant, un professeur, un journaliste fecond et le directeur d'une Revue importante, la Rivista Europea. Les Ricordi Biografici sont l'oeuvre du journaliste et, comme disent les anglais, du reviewer. Ils contiennent une série d'études biographiques et littéraires sur les écrivains italiens contemporains. Quelques-unes de ces études ont un réel intérêt; p. ex. celles sur Manzoni, Cantù, Guerrazzi, Amari, Mamiani etc.; mais beaucoup d'autres on trait à des littérateurs peu connus même en Italie, et qui n'auront jamais de place dans l'histoire littéraire de l'Europe. M. de Gubernatis nous paraît n'avoir pas senti quelle différence existe entre un livre et un journal. Ce qui est bon a dire en passant sur une feuille volante ou dans une Revue mensuelle, ne mérite pas toujours d'être conservé dans un volume. Je le reconnais d'ailleurs; en ces matières, un étranger est mauvais juge. L'Italie tient un rang distingué dans la science et l'érudition; les travaus d'histoire et de philologie de MM. Villari, Comparetti, d'Ancona, ceux de M. de Gubernatis sont les et appréciés dans toute l'Europe; mais les vers de dall'Ongaro ou les critiques littéraires de De Sanctis n'ont pour nous qu'un interêt secondaire. >>

Non conviene, del resto dimenticare, che la Revue Critique è essenzialmente una rivista erudita, anzi, col Literarisches Central Blatt di Lipsia, la prima delle riviste erudite europee. Il critico della Neue Freie Presse, che deve invece essere un buongustaio in fatto di poesia italiana, si esprime, a proposito de' Ricordi Biografici, ne' termini che

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