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l'uomo e lo scrittore sopra il quale oggi v'intrattenni, hanno saputo destare in me; vorrei averne la fiducia, poichè, se io non credo punto che le mie parole rechino, per sè stesse, alcun beneficio, mi sembra pure che il conte Alessio Tolstoi, nell'intendere come in questa sera, la più eletta e più colta società fiorentina volse a lui un pensiero simpatico, ed espresse il voto gentile perchè l'antico cacciatore di orsi e di tiranni, possa tornar presto rinvigorito alla battaglia, debba sentir meno la gravezza del male che lo affatica.

ANGELO DE GUBERNATIS.

AIDONEO E SAN DONATO

STUDIO

DI MITOLOGIA EPIROTICA (1)

Angelo mio carissimo,

Eccomi quà sui monti di Suli; - tu immaginerai che, seduto sul vertice del Flàmbura, o del Zavrùco, io vada ripensando le eroiche lotte di un pugno di uomini contro l'ira di Ali Pascià e ch'io prenda in questo momento la penna per dipingerti le mie impressioni; però ben altra grave cura mi occupa la mente e, trasportato fra i più antichi miti della Grecia lascia ch'io meco ti prenda nel volo aereo attraverso i secoli preistorici.

La mitologia greca ne insegna che Ercole scese all'inferno e ne portò via Cerbero incatenato; Cerbero, il figlio di Echidna, la vipera, mostro mezzo donna e mezzo serpente, figlia a sua volta del Tartaro e di Gea, ossia della terra e de'suoi abissi. Prima di Ercole era sceso Teseo nell'inferno unitamente a Piritoo per rapirne Proserpina; Piritoo fu divorato da Cerbero e Teseo rimase prigioniero di Plutone finchè non venne da Ercole libera

(1) Da un mio carissimo fratello, antico mio compagno di studii, console del Regno d'Italia a Iànina nell'Albania, ricevo una lettera, piena di fatti e d'idee, che gli studiosi di mitologia comparata non leggeranno senza un vivo interesse. Mio fratello, nel risalire dalla tradizione vivente alla ecclesiastica, dalla ecclesiastica alla pagana, e nell'inferire una origine antichissima e intieramente fisica al mito epirotico ha felicemente intuito una delle verità fondamentali della scienza mitologica.

ANGELO DE GUBERNATIS.

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to. Ma una tradizione più recente trasforma il mito così: Teseo e Piritoo vanno da Aidoneo Re dei Molossi, bramando Piritoo di rapire la figlia, o la moglie del Re; questi aveva un cane chiamato Cerbero (che poi rese celebri i cani Molossi, senza che essi, te l'assicuro, abbiano in alcun modo meritato una tale celebrità); Cerbero, od Aidoneo uccide Piritoo, e Aidoneo tiene Teseo prigioniero; intanto Ercole passa dalla Tessaglia in Epiro, ed Aidoneo gli da l'ospitalità; quindi pregato da Ercole lascia libero Teseo. Le due versioni non sono perfettamente uguali? non si riferiscono esse alla lotta sostenuta dagli eroi contro i mostri, della luce contro le tenebre, del cielo contro l'inferno, l'Aidoneo, Re dei Molossi non è altro che l'Hades o Plutone (Aïdôéus, forma epica) il Dio delle tenebre e dell'inferno.

Nell'Odissea, Ulisse approda al Cimmerio e di là scende nell'inferno; qui abbiamo un promontorio Cimmerio (il monte di Parga) e un inferno (Aidoneo) coi suoi fiumi Acheronte (Mavro Potamos), Flegetonte (Vuvò) e Cocito (altro Vuvò); a mio av. viso adunque in questo luogo figura Omero l'approdo di Ulisse, e il Cimmerio Italiano e la palude Acherusia sono copiati dall'Averno di Epiro, donde l'emigrazione dei popoli le ha poi traspor· tate; in nessun luogo infatti, si trova, come qui, così chiara la tradizione infernale; poichè l'antico Acheronte conserva il nome di fiume nero, il Cocito e il Flegetonte hanno ambidue il nome di Vuvò, ossia il silenzioso, poichè morte, tenebre e silenzio sono una sola cosa; la palude Acherusia che precedeva l'entrata d'Averno stava sulla riva dritta dell'Acheronte e vi è tuttora, sebbene in più ristretti confini; il Cimmerio, poi qualunque sia l'etimologia del nome, stava e sta a cavaliere della pianura dove i tre fiumi scorrevano; i monti infine che torreggiano al fondo della paludosa valle, imponenti, solenni, impraticabili, da cui sorte non aspettato, non immaginato un largo fiume, danno sufficiente. mente l'idea d'un antico inferno mitico sulla cui entrata è la caverna, e dentro di essa il Cerbero, il mostro, la tenebra, incatenata e tratta fuori da Ercole, quindi ricondotta nei baratri del Tartaro; sparisce adunque dalla storia l'Aidoneo, Re dei Molossi e rientra nel mito; egli è l'Hades, il Plutone, e il suo cane è il figlio di Echidna; ma l'antico mito ha preso una nuova for

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ma Epirotica; e nell'Epiro stesso poi, ove la mitologia trovò vivace alimento, si protrasse quindi ancora in una forma cristiana, come spero provartelo.

Sulle rive del Mavropotamo presso il villaggio di Gliki, là appunto dove il fiume esce dai monti di Suli raccolsi la seguente leggenda: «Un tempo non si beveva l'acqua di questo fiume ed ecco come avvenne che s'incominciò a bere; vi era un terribile serpente nei dintorni il quale metteva spavento in tutti; gli abitanti ricorsero allora a San Donato Aios Donatos, il quale viveva sui monti di Suli e faceva di gran miracoli; Aios Donatos venuto abbasso uccise il serpente ed avendo le mani sporche di sangue s'avvicinò al fiume per lavarsi; lavatesi le mani, si volle pure lavare la faccia ed essendogli entrata dell'acqua in bocca esclamò: ; ïvou qìuxú oh com'è dolce! per cui sorse in memoria del fatto il villaggio di Gliki, e da quel tempo in poi si continuò a bere l'acqua del fiume. »

Come ti pare la leggenda? Però essa fu già raccolta nei loro intenti dai cristiani e da loro a lor modo raffazzonata. Il cardinal Baronio, ne'suoi Annali, copiando un passaggio della Storia Ecclesiastica di Sozomeno, accenna ai miracoli di un San Donato vescovo di Evria, sotto Teodosio il grande; ma che valore debbo io dare al detto di Sozomeno, che inspirò tanto poca fiducia al Boronio in molti altri fatti da lui descritti? Io ti copierò quel passaggio per discuterlo poi e confrontarlo colla mia leggenda. « Di questi tempi (anno 394 Era volgare) in molte parti del globo molti fra i Vescovi si resero celebri, fra cui Donato, Vescovo d'Evorea (Evria) in Epiro, di cui attestano gl'indigeni le molte meraviglie, e quel che specialmente ei fece nell'uccisione del drago, che, nella località di Chamejefira, signoreggiava sulla via regia, e rapiva pecore, capre, buoi, cavalli, non che uomini ed altro. Nè quegli vibrando spada od asta, o d'altra arma qualunque servendosi attaccò la belva, ma, come se la vide venir contro ed ergere il capo per gittarsi sopra di lui, fatto nell'aria col dito un segno di croce verso la belva, le sputò in faccia quel segno; quella, com'ebbe ricevuto in bocca lo sputo, tosto cadde, e, morta giacendo, non apparve minore in grandezza di quei serpenti che si vedono presso gl' Indiani. A tal punto chè (com'io stesso verificai) gli indigeni trattala con otto coppie

di buoi, in un campo vicino la bruciarono, perchè putrefatta non corrompesse l'aria, e generasse morbi pestitenziali. A Donato è sacro colà un tempio insigne che prende da lui il nome, e vicino gli sta una sorgente di copiosissime acque, la quale pria non esistendo, Dio concedette alle di lui preghiere; era infatti arido il luogo, quando colà accorso viaggiando, dicesi, che, soffrendo i suoi compagni di sete, scavata con le mani la terra, pregò, e ne uscì abbondante l'acqua, nè più mai da quel tempo mancò. » Questo è il racconto di Sozomeno copiato dal Cardinal Baranio, appena accennato di volo dal Fleury; ora lasciami fare

qualche commento.

Il maraviglioso del racconto fa già per sè stesso nascere il dubbio; la croce sputata uccide il dragone, che è un boa constrictor; come mai il boa abbia potuto trovarsi allora in Epiro, lo dicano i naturalisti; come poi un boa potesse corromper l'aria, generar pestilenze, e come occorressero otto paia di buoi per trascinarlo in un campo vicino potrai dirmi tu stesso. (1) Quel che è più strano nel racconto si è l'aridità accennata di un luogo che è ricco di acque quant'altri mai; - da tempo immemorabile i laghetti, i laghi hanno convertito in risaja la pianura di Fanari, dove i miracoli di Donato salvano dalla sete i suoi compagni. Nota poi che Sozomeno scrittore del quinto secolo, ossia poco men che contemporaneo del Santo parla di un tempio magnifico a lui dedicato in un'epoca a cui la provincia era poverissima, e quando non si usava di elevar tempii ai santi prima chè venissero regolarmente canonizzati. Se San Donato faceva miracoli nel 394, egli può aver vissuto ancora molti anni dopo, e Sozomeno

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(1) Io non ho qui altro ad osservare se non che in questa tradizione come nella seguente del Minologio non riconosco la necessità di attribuire tutte le varianti ai soli autori ecclesiastici, avendo potuto la tradizione stessa erraro fra il popolo sotto forme diverse; la parte foggiata dagli scrittori, con intento chiesastico, dev'essere stata minima; nè può riferirsi alla Chiesa il particolare del mostro bruciato; i draghi, le streghe non finiscono altrimenti i loro maleficii che consumandosi nel fuoco; il sole mattutino e il sole primaverile distruggono in tal modo il mostro notturno ed il mostro invernale.

ANGELO DE GUBERNATIS.

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