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che esistevano prima del 1796. Vi nota la troppo grande sproporzione fra l' Austria ed il Piemonte, anche ingrandito con Genova, e viene a dire che l'indipendenza degli stati italiani, si trova annullata od assorbita nella politica dell'Austria.

L'altro documento è un memoriale del conte Alessandro Cotta di Brusasco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario a Pietroburgo, dopo il conte Giuseppe di Maistre. Esso fu steso sul tenore delle istruzioni date dal Conte della Vallesa nel 1817, al ministro Sardo presso alla corte di Russia. Ha per titolo. De l'état moral et politique de l'Italie, après le congrès de Vienne. In questo documento, più rimarchevole ancora del precedente, si parla di quel politico assassinio dell'Austria in Italia che aveva incominciato già da tre anni. Per segnarlo d'infamia come merita, il conte Cotta di Brusasco adopera quella eloquenza dei fatti e delle conseguenze deducibili, la quale non ha bisogno di le. nocini rettorici. Il ministro italiano colpisce senza battere. Con un po' più di colore, direbbesi un memorando antidatato del conte Cavour.

Questi due documenti, del pari che les Memoires politiques et la correspondance diplomatique del conte De Maistre, stampata da Alberto Blanc, servono a mostrare che la condotta della diplomazia piemontese dei giorni nostri, si rannoda alle sue precedenze, e costituisce una tradizione patriottica che non si è mai smentita.

(Continua)

Prof. GIUSEPPE ARNAUD.

Carlo Botta e le sue opere storiche.

(Continuazione)

Innamorato del 500, perchè la forma del discorso fu allora da molti degli scrittori non solo coltivata, ma artificiosamente ornata, abbellita e rivestita di eleganze più latine che italiane, egli lodò quello che allora fu meno laudabile; imperciocchè le stra nezze e le esagerazioni della età seguente trovarono loro principio e ragione nello avere molti fra i letterati del secolo XVI disviate le lettere da quel retto e naturale cammino, sul quale alcuni invano tentarono e coll'esempio e col sarcasmo di trattenere gli ingegni. La letteratura del 500 piena di grazia, di eloquenza, con forme fiorite, misurate, armoniche nell' insieme e nelle parti, portava con se il germe della sua dissoluzione: e questo fu la tendenza accademica, troppo puramente letteraria, troppo classica; tendenza che divenne sempre maggiore a misura che impoverivasi il contenuto, che le lettere si allontanavano dalla parte viva della società, per diventare cose di pochi, che lasciavano l'aria aperta e libera per rinchiudersi nello studio degli eruditi, che si separavano dai grandi interessi morali, politici e sociali, che allora appunto mettevano sossopra gran parte di Europa colla lotta della coscienza e del pensiero contro il freno e la schiavitù dalla Chiesa e dall'autorità imposte. Machiavelli non appartenne a questa letteratura del 500, nè per la sostanza nè per la forma delle sue opere, che si corrispondono perfettamente, e vicende. volmente si sostengono e invigoriscono. Egli, figlio della repubblica e segretario della repubblica, educato in mezzo agli affari pubblici ed agli studi, benchè fosse di ingegno beffardo e comico, ebbe l'intelletto illuminato dalla idea e l'animo mosso dal deside

rio della unità, della indipendenza, della libertà della patria. Anche in ciò ei fu nobil discepolo degli antichi Romani, dal cui animo il sentimento patrio non mai cadde, come quelli che sempre, negli scritti eziandio, ebbero viva dinanzi l'immagine della loro Roma; e per ciò stesso fu di quelli che meglio compresero gli antichi, perchè come loro visse fra gli affari, l'osservazione e gli studî, investigando ogni cosa e le umane operazioni, quasi nel modo stesso che i fisici con Galileo investigarono poscia i fenomeni della natura. Mosso dall'amore della sua repubblica e da quello d'Italia all'una ed all'altra volle colle sue opere insegnare, non già astratteggiando, ma ragionando, osservando i fatti, esaminando le vere condizioni sociali. Si ricongiunge per questo suo spirito positivo agli antichi narratori positivi, a Tucidide e Polibio meglio che ad Erodoto, Livio e Tacito; non ch'abbia avuto a sdegno la virtù, come male dissero Botta e Balbo ed altri parec chi; bensì conobbe che non vale calcolare sulla virtù quando questa non è comunemente seguita, ed il vizio ed il male incalzano con imminente ruina. La vera tradizione italiana risorse in lui, che agli italiani additò il maggior nemico nel dominio temporale dei Pontefici e nei malefizii della Chiesa, corruttrice degli animi col malo esempio di sua corruzione ed invocatrice degli stranieri in Italia; e insieme loro insegnò di quali mezzi dovessero usare per levarsi di servitù. A ragione quindi il Marselli nel suo recente libro La Scienza della Storia, annovera il Machiavelli fra i più insigni ed alti ingegni che al racconto siansi applicati, e lo pone primo fra gli italiani per lo avere non solo degnamente narrato, ma altamente ragionato sui fatti onde scoprirne le leggi nelle recondite ed intime cagioni. Piacemi anzi riferire in nota (1) le parole colle

(1) « Difetto dell'idea di progresso e di leggi generali e complesse, « che abbraccino tutte le fasi e tutte le forme dello sviluppo nazionale <e umanitario, ma coscienza che i fatti muovonsi secondo ragione ed << obbediscono ad una forza, la forza delle cose; acuta ricerca di queste « ragioni, col volgersi di preferenza a ciò che si ripete e non a ciò che « si aggiunge dallo sviluppo umano, alle occasioni e, quasi direi, al mec<canismo della storia, anzichè alle cause complesse ed alle leggi so<< stanziali; un considerare pertanto le nazioni o l'umanità come ripe.. << tenti un medesimo circolo; l'adoperarsi a fare uscire dalla osser«vazione dei fatti, immortali regole di prudenza e di condotta, che << molto insegnano nella difficil arte del fare; un accrescere di tanto

quali il Marselli chiude il suo discorso, perchè nobilissime e veramente degne dell'alto subbietto e della gravissima opera cui valorosamente pose mano.

Guicciardini, dotato anch'esso di altissimo ingegno e fornito di molti studî e di gran pratica di uomini e di cose pubbliche, benchè di pochi anni più giovane di Machiavelli, sembra nondimeno uomo di altra generazione, perchè non fu animato da quei senti. menti di libertà e di patria che guidarono e sostennero il suo grande concittadino. Dobbiamo correggerci, e affermare che an. ch'esso, il Guicciardini, ammise la libertà, la patria, la nazione italiana, ma tutto ciò teoricamente, come cose belle e desiderabili quando non disturbino il privato bene e non impediscano l'interesse particolare. Leggendo i Ricordi politici e civili chiara ci si palesa la sua maniera di pensare e sentire: « Chi disse uno « populo, disse veramente un pazzo; perchè è uno mostro pieno << di confusione e di errori, e le sue vane opinioni sono tanto << lontane dalla verità, quanto è, secondo Tolomeo, la Spagna dal« l'India. » (Ricordo CCCXLV). — « Grandi difetti sono in uno

<< la influenza dell'azione individuale, di quanto è scemata quella delle <«< cause complesse che governano gli individui; baleni luminosi che ri<< velano la potenza divinatrice dell'ingegno dell'autore, e l'oscurità << scientifica dei tempi; singolare spirito di analisi; tatto da grande << uomo di stato; profonda conoscenza di certi lati della natura umana e << piena cognizione del cuore del secolo XVI; senso del reale che gli fa << accettare la dura necessità del piegarsi ai soli mezzi possibili nella << sua triste età; aborrimento da quella che par virtù ed è finzione; << impareggiabile vigoria e schiettezza di stile; cuore, mente, vita tutta << dedicata a rifare la grandezza della patria sua; ecco il Machiavelli: << genio tutelare dell'Italia, nero fantasma di tutti gli ipocriti! Ed ecco << quel profetico intelletto che accennava alla sua patria i modi per <«< raggiungere la potenza: unità nazionale, armi nazionali, fuori lo stra« niero, e pera la temporalità di quella potenza che non fu mai stanca « di chiamarlo, di scindere l'Italia, e che con gli esempi di sua im« moralità, di suo malgoverno corruppe i suoi figli e li gettò in preda << alla incredulità, allo scetticismo. Per questi concetti il mondo clas<< sico ed il mondo moderno, i ricordi tradizionali e le necessità dei <<< tempi nuovi trovano la loro conciliazione nella mente sovrana di Nic<<colò Machiavelli. E gli italiani trovano nel suo libro vive lezioni per << fare la loro patria potente, dopochè è diventata una. » (Parte III, Cap. I).

<< vivere populare, e nondimeno nella nostra città i savii e buoni « cittadini lo appruovano per meno male. » (Ricordo CCXXVII) « Chi ha a comandare a altri non debbe avere troppa discrezione << o rispetto nel comandare; non dico che debba essere senza essa, « ma la molta è nociva. » (Ricordo CCXXXIV).

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<< Fatevi << beffe di questi che predicano la libertà: non dico di tutti, ma ne << eccettuo bene pochi; perchè se sperassino avere meglio in uno « Stato stretto, vi correrebbero per le poste; perchè in quasi << tutti prepondera il rispetto dello interesse suo, e sono pochis<< simi quegli che cognoscono quanto vaglia la gloria e l'onore. » (Ricordo CCCXXVIII). Anche il Guicciardini odiò la Chiesa Romana ed i preti. Nelle sue Considerazioni sui discorsi del Machiavelli, sul famoso capitolo XII del libro I, dove è detto della importanza della religione e del male fatto all'Italia dalla Chiesa Romana, scriveva: « Non si può dire tanto male della Chiesa << Romana che non meriti se ne dica più, perchè è una infamia, << uno esemplo di tutti i vituperii e obbrobrii del mondo. E an<< che credo sia vero che la grandezza della Chiesa, cioè la auto« rità che gli ha data la religione, sia stata causa che Italia non « sia caduta in una monarchia ecc. » Nei Ricordi spesso torna sui vizii della Chiesa : « Tre cose desidero vedere innanzi alla << mia morte; ma dubito, ancora che io vivessi molto, non ne ve<< dere alcuna: uno vivere di repubblica bene ordinato nella città << nostra, Italia liberata da tutti e barbari, e liberato il mondo « dalla tirannide di questi scelerati preti.» (Ricordo CCXXXVI).— << Io ho sempre desiderato naturalmente la ruina dello Stato Eccle<<siastico, e la fortuna ha voluto che sono stati dua pontefici (Leone X e Clemente VII) tali che sono stato sforzato deside<< rare a affaticarmi per la grandezza loro: se non fussi questo << rispetto, amerei più Martino Lutero che me medesimo, perchè << spererei che la sua setta potessi rovinare o almeno tarpare le << ali a questa scelerata tirannide dei preti. » (Ricordo CCCXLVI). Non però gli balenò alla mente e desiderò che l'Italia si raccocogliesse in un solo corpo, che anzi mostra di avere creduto sia stato per lei più vantaggioso l'essere stata divisa in varii Stati: << Non so già, ei scriveva nella Considerazione sopra citata sul << capitolo XII dei Discorsi del Machiavelli, se il non venire in << una monarchia sia stata felicità o infelicità di questa provincia, < perchè se sotto una repubblica questo poteva essere glorioso al « nome d'Italia e felicità a quella città che dominassi, era all'al<< tre tutte calamità, perche oppresse dalla ombra di quella non

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